GAM. Settembre è il mese del ritorno alla concretezza: anche i mercati hanno mostrato segni di una ritrovata perplessità ma qualche giorno di correzione non basta per decretare la fine di un movimento positivo
Carlo Benetti Market Specialist di GAM (Italia) SGR
Settembre è il mese che rilascia l’ultimo calore dell’estate e prepara le primizie dell’autunno, è il mese del raccolto e della vendemmia, dell’equilibrio ritrovato dopo le vaghezze d’agosto. Settembre è un mese suggestivo, esprime razionalità e concretezza, è il mese in cui i pastori di D’Annunzio “lascian gli stazzi e vanno verso il mare”; era una mattina di settembre quando il tenente Giovanni Drogo lasciò la città “per raggiungere la fortezza Bastiani, sua prima destinazione”.
Il vento di settembre bacia “le foglie d’un verde vizzo, quasi nere dell’acacia” della poesia di Antonio Machado e sempre in settembre, nel 1919, Thomas Eliot raccolse le idee e mise a punto il suo manifesto sulla poesia e la critica letteraria. E’ il mese della riapertura delle scuole, oggi è il primo giorno per la grande parte degli studenti italiani, l’anno scolastico comincia con non pochi pencolamenti organizzativi, facciamo gli auguri agli studenti, alle loro famiglie e agli insegnanti di terminare l’anno serenamente, senza patire eccessivi perturbamenti.
Dopo un agosto sfavillante e nuovi record, anche i mercati sembrano tornare alla concretezza del mese che, canta Francesco Guccini, “dopo l’estate porta il dono usato della perplessità, ti siedi e pensi e ricominci …”. I mercati hanno fatto proprio questo, si sono seduti a pensare, le correzioni dei giorni scorsi sono state il primo segnale della ritrovata concretezza.
Il nervosismo è stato innescato un po’ dal “dono della perplessità”, un po’ dall’avvicinarsi dell’appuntamento politico più importante dell’anno (no, non sono le elezioni amministrative e il referendum italiani). In questi mesi di “eccezionale normalità”, abbiamo assistito alla performance del settore tecnologico e, contemporaneamente, alla performance dell’oro e del Treasury a dieci anni. Tre asset class tra loro diversi e dalle quali ci si aspetterebbe comportamenti diversi.
La corsa che ha portato il prezzo dell’oro a superare il tetto dei duemila dollari l’oncia è stata sostenuta principalmente da due fattori:
- la discesa dei rendimenti reali delle obbligazioni governative, che ha abbassato il costo-opportunità di tenere una classe di attivo che non da rendimento. Keynes definiva l’oro “barbara reliquia”;
- la debolezza del dollaro, che tra marzo e agosto ha perso oltre il 10% del suo valore.
Ogni volta che il dollaro entra in una fase di debolezza, puntualmente escono articoli e commenti dedicati alla fine dell’egemonia degli Stati Uniti e all’”esorbitante privilegio” del biglietto verde. Ma al netto del fatto che non ci sono alle viste monete che possano ereditare credibilmente il ruolo internazionale del dollaro, la discesa degli ultimi mesi è riconducibile a fattori di breve termine come il differenziale dei tassi. Esattamente un anno fa il Treasury rendeva circa due punti percentuali più del decennale tedesco, ora il differenziale si è ridotto attorno a 1%.
La corsa del Treasury sconta prospettive molto negative sull’economia e se il prezzo dell’oro cresce generalmente quando ci sono aspettative di inflazione, dall’altra parte la crescita del Nasdaq testimonia fiducia nel futuro, Chi ha ragione? Tornare alla concretezza significa anche ragionare su come posizionare il portafoglio nel modo più efficiente per il futuro. La narrazione dei mercati azionari che tornano alla realtà dopo essersene discostati non è del tutto vera.
Le sintesi dell’indice nascondono sempre la dispersione dei titoli e dei settori e nella realtà le conseguenze economiche della pandemia si sono fatte sentire anche in borsa. Negli ultimi anni i primi dieci titoli dell’indice S&P 500 hanno pesato grossomodo tra il diciotto e il ventidue percento. Negli ultimi mesi la concentrazione dei primi dieci titoli è balzata al 27%, in gran parte a causa dell’aumento del peso del settore tecnologico, particolarmente dei giganti della Silicon Valley.
Rispetto al 2019, due terzi dei titoli dello S&P 500 sono andati peggio. Non è un fenomeno nuovo, uno studio del 2017 (segnalato da Marco Liera, sempre accurato) ha analizzato la dispersione delle performance: “dal 1926 circa il 57% dei titoli quotati ha avuto rendimenti accumulati inferiori a quelli del Treasury-Bill a un mese”. I risultati della ricerca di Hendrick Bessembinder non contraddicono la “costante di Siegel”, cioè il maggior rendimento reale delle azioni sulle altre classi di attivo nel lungo termine, confermano piuttosto il valore della selettività e della gestione attiva.
A guardare meglio, le ragioni che hanno sostenuto l’oro e il Treasury sono tutte di breve termine, un rendimento attorno a 0,70% incorpora uno scenario di forte negatività, ragionevole nel breve termine ma probabilmente eccessivo sulle prospettive di medio periodo. Il 2020 vedrà una forte contrazione dell’economia americana ma già nel 2021 la crescita è stimata su un lussuoso rimbalzo di +3,9%. Ci sono limiti fisiologici alla discesa del rendimento del Treasury.
Diverso il discorso che riguarda il settore tecnologico, la sua crescita ha radici ben piantate nelle potenzialità di sviluppo del settore nel medio e lungo periodo. L’indice Nasdaq 100 aveva messo a segno una corsa di oltre il 25% da inizio anno a fine luglio, la correzione degli ultimi giorni ha limato il risultato attorno al 21%. Se nel lungo periodo le performance azionarie riflettono la crescita dell’economia reale (la costante di Siegel, appunto), negli intervalli di tempo più brevi Wall Street non coincide con Main Street. E’ ciò che è accaduto da marzo a oggi eppure, andando oltre il dato sintetico dell’indice, si nota che la distanza tra economia reale ed economia di carta è minore di quanto si possa pensare.
Il Nasdaq 100 è costituito in larga parte da società della tecnologia e del settore bio-medico, settori avvantaggiati dalla pandemia e dalle restrizioni alla mobilità. Sono rimasti molto più indietro i settori vicini al “ground zero” della pandemia: l’automotive, l’energia, i finanziari.
L’investitore razionale guarda alle potenzialità del settore tecnologico nel più lungo termine. Se fino ad oggi la corsa è stata guidata dai giganti della Silicon Valley, sarebbe fuorviante considerare le prospettive solo sulla base delle valutazioni, tirate, dei Big Five.
Sono custodite straordinarie potenzialità nella quarta ondata dell’innovazione tecnologica, ad esempio le molte società attive sui sistemi operativi per la guida automatica, l’innovazione tecnologica nel settore della salute, l’impiego delle blockchain nella gestione delle catene della fornitura. Siamo “a metà della scacchiera”, per riprendere l’immagine dei chicchi di riso della leggenda orientale. Il ritorno alla concretezza esige che si tenga conto dei possibili rischi. Ne mettiamo in evidenza almeno tre:
- la possibilità di giornate frenetiche sempre più frequenti, fasi di mercato caratterizzate da movimenti sorprendenti dovuti all’aumento dei trader, in larga parte giovani improvvisati. Poche settimane fa ricordavamo come la media delle operazioni giornaliere sulle piattaforme di trading sia passata da due a sette milioni, a loro è riconducibile il 25% dell’attività sul mercato azionario americano (vedi L’Alpha e il Beta 27.7.2020).
- Un altro rischio (ma in questo caso è meglio dire sorpresa) sarà la scoperta del vaccino contro il SARS-CoV-2. Sarà naturalmente una notizia molto positiva ma non priva di conseguenze finanziarie. E’ probabile che il vaccino metta in moto una rotazione settoriale e un cambio di leadership a favore del “value”. I rendimenti obbligazionari invertiranno la direzione con un generalizzato steepening delle curve. Un altro possibile rischio è quello dell’annuncio e della distribuzione del vaccino innanzi tempo, in un’urgenza dettata da scadenze o esigenze politiche. L’eventuale fallimento di un vaccino non adeguatamente testato avrebbe disastrose conseguenze sulla fiducia delle pubbliche opinioni e darebbe ulteriori argomenti alle posizioni “no-vax”.
- Siamo ancora lontani da un sensibile miglioramento dell’economia e molte società e settori restano sotto pressione. Molte società dalle condizioni precarie hanno approfittato del basso costo dei finanziamenti ma il ritardo della ripartenza nelle attività potrà essere problematico. Il terzo rischio di cui tenere conto è l’aumento dei downgrading nei punteggi di rating e dei default.
Non basta qualche giorno di correzione per decretare la fine di un movimento positivo. Il ritorno alla concretezza esige che si distinguano i rumori dai segnali, con l’avvicinarsi delle elezioni americane il nervosismo è destinato ad aumentare ma le politiche monetarie espansive e i rendimenti obbligazionari rendono ancora interessanti le azioni.
Con selettività: se i settori più vicini al “ground zero” della pandemia continueranno a fare fatica, altri come il tecnologico o l’health-care conservano interessanti prospettive di crescita. All’esposizione alle attività rischiose si possono affiancare strumenti di protezione, in modo particolare quelli legati alla volatilità.
Fonte: AdvisorWorld.it